Il borgo di Catabbio è situato nell'entroterra collinare della Maremma grossetana, tra le valli delle colline dell'Albegna e del Fiora.
Situata a sud-est rispetto al centro del capoluogo comunale, da cui
dista circa 5 km, l'ubicazione della località è in prossimità del bivio
che da una parte porta a Pitigliano e dall'altra a Manciano. Catabbio dista circa 65 km dal capoluogo di provincia Grosseto.
L'abitato si sviluppò nelle vicinanze dell'antico castello degli Aldobrandeschi, il castello di Catabbio, sorto nell'XI secolo e successivamente trasformato in fattoria fortificata. Fu frazione del comune di Sorano e poi di Manciano, prima di confluire in quello di Semproniano.
La chiesa di Sant'Anna
Chiesa di Sant'Anna, chiesa parrocchiale situata nel centro della piazza del rione Santarello.
Chiesa di Santa Lucia, antica chiesina situata nel rione
Scalabrelli. Conserva all'interno un'acquasantiera dalle linee
rinascimentali risalente al 1574.
Il borgo di Cellena è situato alle pendici dell'omonima ripa che con i suoi 881 m s.l.m.
costituisce il rilievo principale dell'intero territorio comunale.
Dalla cima del paese si scorge un vasto panorama: la vista spazia dalla
valle del Fiora al monte Civitella, che sovrasta l'abitato di Selvena. Girando lo sguardo si risale l'alto corso del Fiora fino al monte Amiata e al monte Labbro. Dalla parte opposta il continuo del monte Civitella fino al Pitiglianese.
Cellena compare come contrada in un documento del 6 dicembre 1046 dove Ildebrando V Aldobrandeschi rinuncia a favore di San Salvatore al Monte Amiata a varie proprietà, tra cui beni che teneva malo ordine a Cellina:
il nome riconduce ad un tenimento dipendente da un minuscolo cenobio
(piccola cella) alle dipendenze dell'abbazia madre. Nella festa della
Santissima Trinità del giugno 1114, quando ormai il luogo fa parte dei domini Aldobrandeschi di Santa Fiora, la contessa Adalasia, vedova del conte Ranieri, i figli e le mogli donano case con masserizie, terre, vigne e selve poste in Cellena a Berta, badessa dell'abbazia di Sant'Ambrogio di Montecelso (Siena), insieme alla terra sulla quale è eretta la chiesa della Santissima Trinità del Monte Calvo
e l'annesso monastero consacrati quello stesso giorno. Della donazione
fa parte il podere Berta, oggi in uso civico alla famiglia Mancini, che
della destinataria conserverebbe ancora il nome. Nel 1439 Cellena passa dagli Aldobrandeschi agli Sforza. Dal XVI secolo al 1787 costituisce comunello
entro il distretto castrense di Santa Fiora con terra di esclusiva
proprietà comitale concessa ai "terrazzani" a mezzo terratico. Dopo tale
data, pur rimanendo di proprietà degli Sforza Cesarini fino al 1898, il comunello è assorbito nella Comunità di Santa Fiora e di essa fa parte fino al 1963, quando passa al nuovo comune di Semproniano.
Cellena ha sempre basato la sua economia sulle risorse della campagna. Nel 1925
i "terrazzani", escluso il podere Cellena, possiedono 105 bovini e 1190
ovini e caprini. Un carico di bestiame non sostenibile dall'ambiente,
secondo i periti Piccioli-Bellini. Al 30 settembre 1934 gli abitanti risultano 378. L'abitato, composto dall'accentramento dei caseggiati Cellena, Case Leoni, Case Perugini e dal più distaccato Case Pietrini subisce un certo incremento nel 1787, quando è abbandonato Grossetello e i suoi abitanti si trasferiscono qui insieme alla parrocchia; al catasto del 1824 l'abitato, anche se più rdotto per numero di abitazioni, risulta molto simile all'attuale.
A Cellena si trova la chiesa della Santissima Annunziata, consacrata il 4 ottobre 1958, con all'interno due piccole cappelle dedicate a Sant'Antonio da Padova e al Sacro Cuore di Gesù.
La leggenda narra che a Cellena esistesse un castello situato sulla sommità della ripa. Intorno ad esso si trovavano le abitazioni dei sudditi e della plebe.
In una notte, nella sala principale del castello, si festeggiava il
fidanzamento della giovane castellana cellenese con il conte di
Calegiano (attuale Calizzano). Erano intervenuti anche i castellani di Selvena (Rocca Silvana). Nel mezzo della festa un improvviso e funesto terremoto
squassò la ripa, aprendo una grandiosa frana: il castello, le case e
tutte le persone furono inghiottite dalla voragine. Ancora oggi la ripa
mostra la sua enorme ferita, sferzata dal vento come in quella notte
fatale.
A tutt'oggi i resti del castello non sono stati trovati, ma negli anni sessanta, quando era in funzione la cava, ogni tanto venivano alla luce materiali in terracotta, teschi umani e ossa.
Petricci è un paese ad attività prevalentemente agricola, immerso in boschi di castagno, cerro e prati collinari.
Il paese è incastonato in una zona particolarmente panoramica:
alle spalle (nord-est) è appoggiato sul declivio che porta al massiccio
della Ripa (881 m s.l.m.), uno strapiombo che precipita a picco per 200
metri sulla limitrofa frazione di Cellena e che offre un'ampia visuale che spazia dal Monte Amiata alla Valle del Fiora fino al Lazio perdendosi nel Mar Tirreno.
A sud, in un ampio panorama, spazia da est ad ovest lungo una vallata che conduce fino all'Arcipelago Toscano: la pianura laziale, il Monte Argentario e l'Isola del Giglio sono paesaggi di quotidiana visibilità; spesso si può scorgere anche il nitido profilo della Corsica.
Il paese ha origini recenti, sebbene le radici storiche del territorio sul quale presiede risalgano al IX secolo d.C.. Sul finire del XVIII secolo
il piccolo nucleo abitato, costituito solo da un caseggiato e da una
cappella privata dedicata a Sant'Antonio da Padova, viene prescelto
perché unico luogo di culto presente nel territorio ed insistente sulla
principale strada di comunicazione che dall'Amiata conduceva alla
Maremma.
Narra una leggenda che il Granduca Pietro Leopoldo, in uno dei
suoi innumerevoli viaggi in Maremma, si incontrò in questi luoghi con un
funerale. Il territorio di Petricci era in quegli anni sotto la
giurisdizione parrocchiale di Samprugnano (l'odierno paese di Semproniano)
ed i morti dovevano essere trasportati nel cimitero di questa
parrocchia percorrendo a piedi chilometri di strade sterrate. Il
tragitto da Petricci a Samprugnano è di circa 5 km: si può ben
immaginare quanto fossero gravosi i funerali, tanto che ancor oggi
sopravvive il detto che "i morti seppellivano i vivi". Il Granduca,
commosso da quell'evento, ma soprattutto dalle sue illuminate necessità
di rimodernare le dimenticate terre di Maremma, promise a quel popolo
che avrebbe avuto una propria parrocchia. E mantenne la sua promessa.
Con rescritto del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena in data 25 luglio 1785 viene costituita in Petricci una nuova parrocchia facente parte della Diocesi di Sovana. Con decreto del vescovo monsignor Francesco Pio Santi del 24 ottobre 1785
viene approvato canonicamente il rescritto granducale. Il territorio
ebbe così una chiesa, un parroco ed il suo cimitero, acquisendo
quell'autonomia a cui aveva diritto una comunità. Nasce così il paese di
Petricci.
I secoli a venire hanno fatto espandere il paese sia come
edilizia che come abitanti fino al suo apice negli anni cinquanta e
sessanta del XX secolo quando vi si contavano più di 800 persone. Il
declino demografico che ha interessato tutte le piccole comunità
amiatine ha fatto sì che ad oggi (anno 2008) il paese sia popolato da
meno di 200 abitanti, con un'altissima percentuale di anziani.
Chiesa
di San Giuseppe, chiesa parrocchiale della frazione. Di particolare
interesse il campanile, che con i suoi 25 metri di altezza è l'edificio
più alto esistente nel comune di Semproniano. Realizzato nel 1881 (fino all'altezza di 13 m con sommità a forma di rozza cupola) fu innalzato alle dimensioni attuali nel 1925con vetta piramidale.
Sotto il cornicione esposto a sud del primigenio campanile del 1881, fu
murata una testa di alabastro di origine sconosciuta. sulla fronte sono
incise le lettere "MGB". Il mistero che l'avvolge ha portato
l'immaginario collettivo del paese a soprannominarlo il Guardiano di Petricci.
Convento di San Giusto, antico convento situato a sud-ovest del paese, si presenta oggi sotto forma di ruderi.
Nei pressi della strada che dalle Rocchette di Fazio costeggiava il fiume Albegna e conduceva al castello di Triana ed al Monte Amiata esisteva l'antico territorio giurisdizionale del Castrum Calegiani
(IX sec.) che aveva come centro abitativo l'attuale caseggiato di
Calizzano; poco distante esistono i resti del suo fortilizio militare,
conosciuto dagli abitanti come Il Castellaccio.